I trecento miliardi che lo Stato non vuole 
Mafiosi, corrotti ed evasori ringraziano
Mafiosi, corrotti ed evasori ringraziano
Tanto vale l'economia nera italiana. Recuperarne una parte è  possibile e alleggerirebbe i sacrifici di famiglie e pensionati. Tra le  proposte non accolte dal governo Berlusconi, la ritassazione dei  capitali scudati e norme più severe per rompere il sistema delle  mazzette. Mentre il nuovo codice contro la criminalità organizzata  ostacola la confisca dei beni 

Totale: 330 miliardi di euro all’anno che sfuggono a ogni imposizione, un ordine di grandezza a cui arriva anche la stima dell’Istat, che valuta il “sommerso” tra i 255 e i 275 miliardi di euro, cioè tra il 16 e il 17 per cento del Pil. Un dato strutturale dell’economia italiana, che mette insieme fenomeni diversi, dallo scontrino non battuto al carico di cocaina sbarcato al porto di Gioia Tauro, e tutte le sfumature di illegalità che ci stanno in mezzo, dal lavoro nero alle mazzette.
Ma ora che il governo impone sacrifici ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani, alle famiglie, qualcuno comincia a mettere la questione sul tavolo. Quei soldi si possono recuperare. Né tutti, né subito, naturalmente. Ma l’oceano è talmente vasto che anche una piccola percentuale avrebbe un impatto sostanzioso sulle casse dello Stato.
A lanciare il sasso nello stagno ci ha provato Avviso pubblico, la rete di oltre 180 enti pubblici contro le mafie presieduta da Andrea Campinoti, sindaco di Certaldo in provincia di Firenze. “Non ci risulta”, si legge in un comunicato dell’associazione, che nei vari “tavoli” tra governo e parti sociali “sia stato affrontato il tema dei costi economici e sociali dell’illegalità”. Eppure “i costi delle mafie, della corruzione, dell’evasione fiscale e dell’economia sommersa incidono pesantemente sulla qualità della nostra economia, della nostra sicurezza, della giustizia e della vita in generale”. Ogni singolo italiano paga un “ticket dell’illegalità” pari a 5.500 euro all’anno, cioè 15 euro al giorno.
La manovra appena approvata contiene alcuni provvedimenti che pescano nelle acque grigie dell’economia, come la tracciabilità delle transazioni sopra i 2.500 euro (prevista con soglie ancora più basse dal governo Prodi e cancellata dal centrodestra tornato in sella nel 2008) e le misure più severe per chi non emette fattura. Ma si può fare molto di più e il tema non è più appannaggio esclusivo dei soliti paladini della legalità: “Rinnovo la mia proposta al Governo di trattare i grandi evasori fiscali come i grandi criminali mafiosi, con la sanzione conseguente della immediata confisca dei beni”, ha dichiarato il senatore del Pdl Raffaele Lauro pochi giorni prima dell’approvazione della manovra.
Nessuno dei suoi sembra averlo seguito, ma almeno è un segnale. Perché  se no va a finire che “pagano tutti meno gli evasori”, ha scritto il  direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Cioè  “gli unici che non hanno legge, che non subiscono tagli, che dribblano i  sacrifici. Chi ci governa e chi siede in Parlamento ricordi che, da  oggi, tutto ciò che verrà scontato e addirittura condonato o perdonato a  quest’altra casta peserà 45 miliardi di volte in più nel giudizio degli  italiani onesti”.
La senatrice del Pd Simonetta Rubinato ha calcolato che potrebbero essere raccolti ben 18 miliardi di euro  chiedendo un “contributo di solidarietà” a chi ha rimpatriato i  capitali beneficiando dello “scudo fiscale”. L’aliquota potrebbe essere  del 18 per cento, spiega la senatrice, “che aggiunto al 5 per cento già  versato all’erario, equivale all’aliquota più bassa dell’Irpef, cioè 23  per cento”. Così si potrebbe “evitare di dover ancora una volta chiedere  sacrifici ai ceti medio-bassi già duramente provati dalla crisi”.  L’idea è entrata nel pacchetto di sette  controproposte del Pd  alla manovra economica approvata  dal governo, insieme alla  tracciabilità delle transazioni superiori ai mille euro (invece di  2.500), al pagamento elettronico di prestazioni e servizi, all’obbligo  di tenuta dell’abo clienti-fornitori per le imprese. Tutti provvedimenti  messi in cantiere quattro anni fa dal governo Prodi e immediatamente  cancellati dalla maggioranza berlusconiana, perché mica si può vivere  “in uno stato di polizia”.
Insomma, per rimettere le mani su parte dell’economia illegale italiana, lo Stato potrebbe fare molto, molto di più.
Insomma, per rimettere le mani su parte dell’economia illegale italiana, lo Stato potrebbe fare molto, molto di più.
CORRUZIONE. Pochi lo ricordano, ma  in Italia è in vigore una norma sulla confisca dei beni ai corrotti, sul  modello di quanto si fa con i mafiosi. Fu approvata, anche questa dal  governo Prodi, con la Finanziaria nel 2007, ma da allora è rimasta “in  sonno” perché i successori berlusconiani non si sono mai preoccupati dei  decreti attuativi. “Potrebbe essere un primo passo, il gettito sarebbe  simbolico, ma il segnale forte”, afferma Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso pubblico. Insieme a Libera, l’associazione ha lanciato una campagna  di raccolta firme perché governo e parlamento adottino le convenzioni  internazionali e le direttive europee in materia di corruzione e diano  seguito alla norma sulla confisca. “Significherebbe per esempio  introdurre il reato di corruzione tra privati, più adatto ai meccanismi  di oggi, dato che molte malversazioni avvengono in società partecipate  dal pubblico, ma regolate dal diritto privato”, continua Romani.
E’ una delle previsioni della Convenzione di Strasburgo sulla corruzione, approvata nel 1999 e mai adottata in Italia (già oggetto della campagna per una nuova legge anticorruzione condotta su Il Fatto Quotidiano da Marco Travaglio),  “insieme alla normativa sui collaboratori di giustizia e persino i test  di integrità”, continua Romani, “grazie ai quali la polizia può mettere  alla prova i funzionari pubblici con finte offerte di mazzette”.  Sarebbe come pescare a strascico, nel paese delle “cricche”. Invece il  governo Berlusconi ha chiuso l’Alto commissariato per la lotta alla  corruzione e lo ha sostituito con un “ufficetto”, il Saet, Servizio  anticorruzione trasparenza. E il decreto anticorruzione, approvato in Senato il 15 giugno, non contiene grandi novità, a parte un leggero inasprimento delle pene e norme sull’ineleggibilità ancora da definire.
Perché più che riprendersi i soldi dei corrotti,  combattere efficacemente il sistema delle tangenti permetterebbe allo  Stato “di recuperare negli anni parecchi miliardi di euro”, commenta Alberto Vannucci, professore di scienza politica all’Università di Pisa, dove tiene un Master su criminalità organizzata e corruzione.  “I 60 miliardi stimati dalla Corte dei conti rappresentano non solo le  tangenti, ma i costi aggiuntivi che queste determinano per la  collettività. I nostri studi dicono che in Italia le opere pubbliche  arrivano a costare il 40-50 per cento in più rispetto agli altri paesi  europei. Per un certo periodo subito dopo Mani pulite si registrò una  drastica riduzione, perché evidentemente il sistema si era  momentaneamente fermato. Un ulteriore danno sociale consiste nella  gigantesca distorsione della concorrenza a svantaggio dell’imprenditore  onesto, capace ed efficiente, che viene estromesso dal mercato, mentre  prosperano le ‘cricche’ di amici e parenti”.
Transparency, la più autorevole organizzazione internazionale in materia, colloca l’Italia al 63esimo posto della sua classifica, tra il Ruanda e la Georgia,  ma “se depuriamo il fattore reddito, visto che normalmente nei paesi  più poveri c’è più corruzione, risultamo secondi al mondo dopo la  Grecia”. Eppure il governo Berlusconi non sembra percepire l’emergenza,  né le possibilità di recuperare soldi in questo campo invece che dalle  tasche dei soliti noti. “Un modo per farlo sarebbe l’imposta sui grandi  patrimoni”, suggerisce il professore, “che in Italia sono anche frutto  dell’economia illecita. Basti pensare che l’83 per cento degli affitti è percepito in nero,  secondo un recente rapporto del ministero dell’Economia. E le rendite  finanziarie, altro tipico sbocco del denaro accumulato in nero, finora  sono state sempre tassate coi guanti bianchi”. Infine, la tassazione  extra dei capitali scudati “sarebbe facilmente applicabile, demandando  la riscossione alle banche che hanno gestito il rientro. Certo, la  prossima volta nessuno aderirebbe più allo scudo, ma a me personalmente  sembra una buona ragione in più per farlo”.
MAFIA. Giusto una settimana prima  della manovra “lacrime e sangue”, il Consiglio dei ministri ha approvato  il nuovo codice antimafia. Una grande occasione per aggredire con  maggior vigore le immense ricchezze delle cosche. Un’occasione  sprecata, hanno commentato invece molti osservatori, a cominciare  dall’ex presidente della Commissione parlamentare Giuseppe Lumia.  Anzi, un regalo ai boss, soprattutto la nuova nornativa sui beni  mafiosi, che fissa un  limite di 18 mesi tra il sequestro e la confisca,  un tempo giudicato troppo breve, data l’estrema difficoltà delle  indagini patrimoniali e gli esigui mezzi messi in campo dallo Stato.  Così come rischia di vanificare molti sforzi la possibilità, per chi  viene assolto dall’accusa di associazione mafiosa, di chiedere la  restituzione del bene confiscato. Una misura all’apparenza garantista,  che in realtà affossa l’intuizione di Pio La Torre sul doppio binario delle indagini penalli e di quelle patrimoniali.
Il nuovo codice antimafia “dimentica” un’altra richiesta univoca di chi si occupa di lotta alla mafia: la riforma del reato di voto di scambio,  l’articolo 416 ter del codice penale che oggi punisce soltanto il  politico che compra voti in cambio di soldi, un caso molto raro. Che  cosa c’entra con i conti dello Stato? Molto, perché di solito il  politico colluso “compra” il voto mafioso in cambio di appalti,  forniture, assunzioni. Moltiplicando il caso singolo per la capillarità  del controllo dei clan in ampie aree del paese (e non solo al Sud), si  arriva a una voragine che ingoia denaro della collettività in cambio di  opere e servizi scadenti, e a volte non realizzati affatto. “Avevamo  chiesto che l’azienda mafiosa sorpresa in un cantiere pubblico dovesse  anche restituire i soldi incassati dallo Stato”, ricorda Romani di  Avviso pubblico. “Con la normativa attuale, invece, il cantiere si ferma  e basta, con un doppio danno per i cittadini, che poi finiscono per  pensare che la mafia dà lavoro e l’antimafia lo toglie. Ma il nostro  suggerimento è caduto nel vuoto”.
EVASIONE E SOMMERSO. “Pagano i  soliti noti”, è stato il commento più diffuso alla manovra bis. E’  scomparsa anche l’imposta di solidarietà ad hoc per i redditi da lavoro  autonomo superiori ai 55 mila euro, un implicito tentativo di recuperare  una piccola parte delle tasse evase dalla categoria. Qualche  provvedimento è stato preso, sulla tracciabilità e sulle sanzioni a chi  non emette fattura, ma appare poca cosa davanti alla prateria di  miliardi che si aprirebbe di fronte a una seria caccia all’evasore.  Invece, poco meno di un  mese fa il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera ha  annunciato “meno controlli alle piccole e medie imprese”, sia pure con  una “maggiore qualità”.
Intanto i giornali pubblicano gli sconcertanti  redditi medi ricavati dalle dichiarazioni Irpef dei lavoratori autonomi:  46.200 euro per i dentisti, 46.700 per gli avvocati, 17.700 per i  concessionari di automobili, 14.500 per i ristoratori, 14.300 per  gioiellieri e orologiai. E così via. Il 12 agosto, a Firenze, La Guardia  di finanza ha messo sotto inchiesta un’intera famiglia di imprenditori  del tessile per una frode fiscale da 10,2 milioni di euro, basata su  false fatturazioni e aggiramento dell’Iva. Una famiglia, 10 milioni di  euro, e intanto si grattano le banconote da cento dal fondo del barile  di chi deve dichiarare tutto.
L’evasione va anche in vacanza.  E’ di questi giorni uno studio di Asso edilizia  secondo il quale il 18-20 per cento delle presenze nelle strutture  ricettive è in nero, con un gran fiorire di cartelli del tipo: “Non si  accettano pagamenti con assegni e carte di credito”. Sempre a proposito  di tracciabilità.Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/15/i-trecento-miliardi-che-lo-stato-non-vuole-mafiosi-corrotti-ed-evasori-ringraziano/151628/
 
 
 
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