Tutti parlano – giustamente – della “guerra
del gas” che ieri opponeva il Cremlino a Kiev e che domani potrebbe
armare il pericoloso braccio di ferro tra Putin e Obama
sull’approvvigionamento energetico dell’Europa.
Ma, senza dimenticare le immense riserve del sottosuolo ucraino, pari a
39 trilioni di metri cubi di gas non ancora estratto, e sul quale la
Chevron firmò un contratto da 10 miliardi di dollari già all’epoca di
George W. Bush, sono in pochi a parlare dell’altro immenso tesoro del
paese orientale: il grano. L’Ucraina, ricorda l’analista economico
messicano Alfredo Jalife-Rahme, è il terzo produttore mondiale di
frumento, insieme all’Australia, dopo Stati Uniti e Argentina. Quella
che potrebbe andare in scena è dunque anche la prima “guerra del grano” del terzo millennio. «La trasformazione dei prodotti alimentari è un importante segmento nell’economia
ucraina: un lavoratore su quattro è impiegato nel settore agricolo o
forestale». Grazie alla sua prateria fertile e ricchissima di sostanza
organica, perfetta per coltivare grano e orzo ma anche segale, avena,
girasole e barbabietola è «il granaio di Russia ed Europa».
Le “guerre del grano” esistono, eccome, ricorda Jalife-Rahme in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”: «Si potrebbe sostenere
che altre guerre per il
grano e i cereali sono in atto in forma occulta tanto in Sudan quanto
in Argentina». Il Sudan, «leggendario fienile d’Africa», è stato
«ridotto a un continuo disordine politico con l’emergenza del Sud Sudan,
ricco di petrolio, cosa che ha attirato gli interessi di Stati
Uniti e
Israele». E l’Argentina, potenza ceralicola fin dall’inizio del
ventesimo secolo, «sta soffrendo una brutale guerra multidimensionale, specificatamente nel suo molto vulnerabile sistema
finanziario controllato dall’accoppiata Stati Uniti-Inghilterra, con
mire sulla Patagonia, il più grande granaio sudamericano». Sul Mar Nero –
quello in cui si protende la Crimea – si affacciano invece i porti
attraverso cui l’Ucraina esporta i suoi cereali. Secondo il governo di
Kiev, più del 50% dell’economia della Crimea dipende dalla produzione e dalla distribuzione alimentare.
Il World Fact Book della Cia dichiara che l’Ucraina produceva il 25%
delle esportazioni agricole dell’Urss, mentre oggi esporta sostanziali
quantità di grano, il cui valore è esploso durante la delicata crisi di cambio di regime pro-Fmi
a Kiev, che ha suscitato la reazione russa in Crimea. Le esportazioni
agricole dell’Ucraina sono dirette al 20% in Russia e al 17% in Europa;
seguono Cina, Turchia e Stati Uniti. Il “Financial Times” ricorda che
sono state fatte guerre tra Russia, Polonia e l’Impero Ottomano per il
controllo del prezioso “chernozem”, la prateria fertile dell’Ucraina.
Nel 2011 l’Ucraina ha ottenuto un raccolto record di 57 milioni di
tonnellate. Secondo la Berd, la Banca per la Ricostruzione e Sviluppo in
Europa,
le adeguate trasformazioni e applicazioni delle nuove tecnologie
nell’agricoltura ucraina potrebbero duplicare la produzione di grano già
nella prossima decade.
Nell’ultimo decennio, scommettendo sull’enorme potenziale agricolo
dell’Ucraina, molte delle sei multinazionali del cartello anglosassone
che controlla il grano e i cereali (tra cui Cargill, Adm e Bunge, in
pieno accordo con Nestlè e Kraft) hanno investito miliardi di dollari.
Anche la temibile Monsanto, aggiunge Jalife-Rahme, si è messa in coda
per il “chernozem” ucraino assieme alla DuPont Pioneer. «Oggi l’Ucraina
ottiene 12 miliardi di dollari dalle sue esportazioni di grano e cereali
e dalla sua particolare partnership commerciale con l’Europa», che ovviamente – insieme agli Usa – ha “acceso la miccia” della crisi a Kiev. «L’interesse
ad incorporare l’Ucraina nel mercato europeo includeva l’obiettivo ad avere un “supermercato del pane e carne” in Europa mediante una maggiore disponibilità ad affittare o vendere i suoi terreni fertili».
L’analista australiana Anna Vidot considera che la scalata
all’Ucraina possa avere un impatto significativo nei mercati mondiali
del grano. Washington stima che l’Ucraina fornisca il 16% del totale
mondiale di mais e grano, la maggior parte del quale passa per il porto
di Sebastopoli, in Crimea, sede della flotta russa nel Mar Nero, in una
penisola che vanta abbondanti riserve marine di gas naturale.
«La realtà è che la balcanizzazione di questo paese comporta come corollario la frattura catastale delle sue riserve di shale gas e del suo grano». I prezzi schizzano rapidamente alle stelle: «La corsa alla conquista della Crimea ha portato già ad un aumento del 40% del petrolio, dell’oro e del grano», conclude Jalife-Rahme. E avverte: «Gli incroci geopolitici per gli idrocarburi, il grano e i cereali sono soliti essere spesso tragici».
«La realtà è che la balcanizzazione di questo paese comporta come corollario la frattura catastale delle sue riserve di shale gas e del suo grano». I prezzi schizzano rapidamente alle stelle: «La corsa alla conquista della Crimea ha portato già ad un aumento del 40% del petrolio, dell’oro e del grano», conclude Jalife-Rahme. E avverte: «Gli incroci geopolitici per gli idrocarburi, il grano e i cereali sono soliti essere spesso tragici».
Fonte: libreidee.org
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