L’Europa che oggi sponsorizza e celebra con centinaia di
manifestazioni e iniziative la Giornata mondiale contro il
razzismo è la stessa che ha permesso la strage di Lampedusa del
3 ottobre, solo la più grave delle centinaia di naufragi che hanno
attraversato il Mediterraneo. È quella che impone a chi è costretto
a fuggire dal proprio paese di chiedere asilo nel primo paese
europeo di arrivo, a meno che non sia provato e documentato che
questo non è in grado di accoglierlo. Tutela il diritto di asilo, ma
sino ad oggi ha accolto solo 56 mila degli oltre 2,5 milioni di
profughi siriani (la Turchia ne ha accolti 656 mila, il Libano un
milione).
L’Europa di oggi è quella che vincola la «cooperazione con
i paesi terzi» alla sottoscrizione di accordi stringenti sul
«contrasto dell’immigrazione irregolare» e che con la “direttiva
della vergogna” ha stabilito che è possibile rinchiudere nei
centri di detenzione i migranti senza documenti colpiti da un
provvedimento di espulsione per 18 mesi. È, infine, quella che nella
Carta dei diritti fondamentali vieta le espulsioni collettive
e le discriminazioni “etniche”, religiose o fondate sulle
caratteristiche somatiche, prevedendo il «rispetto delle
diversità culturali, religiose e linguistiche». Ma poi lascia che
i singoli paesi membri possano negare o restringere l’accesso dei
cittadini stranieri (ormai non solo di paesi terzi) ai servizi
sanitari, assistenziali e previdenziali.
L’Unione Europea promuove regole comuni per rifiutare, respingere
ed espellere i migranti di paesi terzi; disciplina le regole sul
soggiorno e sulla circolazione dei migranti regolarmente
residenti; ha definito uno status uniforme e procedure comuni in
materia di asilo, ma lascia che siano i singoli stati membri
a governare l’immigrazione per motivi di lavoro. Nè è prevista alcuna
forma di armonizzazione delle politiche di «integrazione»,
ambito nel quale l’Ue può solo «incentivare e sostenere l’azione dei
paesi membri». Così in Germania come in Italia e in Spagna si
pongono limiti all’ingresso di lavoratori migranti, salvo poi farne
lavorare a migliaia al nero e sottopagati nell’edilizia,
nell’industria alimentare, nell’agricoltura o nelle ristrette mura
domestiche, per svolgere quei lavori di cura che il sistema di
welfare in via di smantellamento non assicura più. E ciò avviene
anche nel pieno della crisi. In molti, espulsi dal mercato del lavoro,
decidono di tornare nel paese di origine. I più restano.
Non di memoria dunque dovremmo parlare oggi, ma del presente.
E l’Europa del presente è quella del rifiuto, della sofisticazione
degli strumenti di sorveglianza e di militarizzazione dei mari
e delle frontiere grazie al sistema Eurosur e all’agenzia Frontex:
2 miliardi e 496 milioni stanziati tra il 2007 e il 2013 per i due
fondi per le frontiere esterne e per i rimpatri, ma solo 1 miliardo
e 455 milioni per i fondi per i rifugiati e per «l’integrazione» dei
cittadini di paesi terzi.
Nel 2012 i cittadini di paesi terzi stabilmente soggiornanti
erano il 4,1% della popolazione europea, 20,7 milioni, ma non
parteciperanno alle prossime elezioni europee perché non sono
considerati cittadini e sono privi del diritto di voto. Potranno
invece candidarsi i rappresentanti di quei movimenti
nazionalisti, xenofobi e populisti che vorrebbero cacciarli
tutti. Sarebbe un errore lasciare che fossero loro a dettare l’agenda
nella prossima campagna elettorale.
*Di Grazia Naletto
Fonte: ilmanifesto
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